Consumismo e società dei consumi: definizione, storia e caratteristiche

Storia, definizione, pro e contro del consumismo, fenomeno economico-sociale che caratterizza le società industrializzate. La crisi dell’American way of life
Consumismo e società dei consumi: definizione, storia e caratteristiche
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1Introduzione al consumismo

Subito dopo la fine della Seconda Guerra mondiale l’economia dei paesi industrializzati attraversò un periodo di sviluppo senza precedenti per intensità, durata e ampiezza. Un diffuso benessere economico fece da propulsore per la ricostruzione mondiale dopo le distruzioni della guerra. 

Quella che prese il nome di Età dell’oro poggiava sulle regole e sui fondamenti del capitalismo industriale. Tra i fattori che ne favorirono lo sviluppo ci fu la standardizzazione della produzione, l’aumento della ricchezza nazionale e pro capite, l’urbanizzazione, l’avvento dello stato sociale e la forza espansiva del modello americano.    

Nasceva così la società dei consumi.

2Definizione di consumismo: cos’è la società dei consumi?

Anni '50, una donna prova delle scarpe in un negozio. La richiesta di beni di consumo secondari aumenta esponenzialmente.
Fonte: getty-images

La società dei consumi si fonda sull’estesa crescita a livello globale di alcune spese volte all’acquisto di beni che soddisfano bisogni che vengono chiamati “secondari”, poiché non sono direttamente legati all’alimentazione e dunque alla sopravvivenza.  

L’accesso a questi consumi “secondari” da parte di una grande fascia della popolazione crea una sorta di “democratizzazione del lusso”, ovverosia ogni cittadino può permettersi di comprare (quasi) qualsiasi bene presente sul mercato. La società o la civiltà dei consumi si basa, dunque, sull’acquisto di beni superflui che, molto spesso, soddisfano dei bisogni indotti dalla pressione della pubblicità e/o da fenomeni d’imitazione sociale diffusi tra ampi strati della popolazione.  

Oggi è considerato del tutto normale per ogni membro di una famiglia benestante possedere un’automobile, un televisore, un personal computer e uno smartphone. Verso la fine degli anni Cinquanta, invece, quando ormai era divenuta una consuetudine radunare la famiglia attorno alla tavola tre volte al giorno per consumare il cibo, il resto delle finanze familiari presero ad indirizzarsi verso l’acquisto (spesso a rate) di automobili, televisori e abbigliamento.

Non a caso, gli indicatori economici dell’epoca registravano che nelle famiglie americane, europee e anche italiane, avveniva una progressiva riduzione della quota di bilancio familiare destinata al cibo, mentre crescevano le quote dedicate agli svaghi, al miglioramento delle condizioni abitative e alle vacanze estive

Così facendo, questa nuova società dei consumi andava delineando un rapido processo di standardizzazione e omologazione dei costumi nazionali, e anche le differenze di classe cominciarono ad assottigliarsi.

3La televisione, il simbolo della società dei consumi

Bambini davanti alla tv nel 1957
Fonte: getty-images

Fra tutte le invenzioni tecnologiche, quella che più ha condizionato e modificato la vita quotidiana dei cittadini di tutto il mondo è stata la televisione.    

Dopo la rivoluzione incominciata tra le due guerre con radio e cinema, la televisione cominciò a svilupparsi tecnologicamente e a diffondersi dagli USA in tutto il mondo durante gli anni Cinquanta. Portò così lo spettacolo dentro le case, creando nuove abitudini familiari, nuove forme di intrattenimento e un nuovo uso del tempo libero.   

Fu un fenomeno di proporzioni enormi che accelerò i ritmi della vita sociale in maniera decisiva: i secoli si compressero in anni, gli anni in mesi, i mesi in ore. In pochi anni riuscì a trasformare radicalmente il mondo dell’informazione, avendo la possibilità di diffondere un evento nel momento stesso in cui si svolgeva (come lo sbarco sulla luna del 1969).

A tal proposito il critico televisivo Aldo Grasso ha detto che una nazione è tale quando i suoi abitanti condividono non solo gli stessi confini ma anche le stesse emozioni. E il fatto che la tivù riusciva per la prima volta a trasmettere la sensazione che molti spettatori partecipassero nello stesso istante ad un evento, ciò restituiva agli spettatori la sensazione collettiva di appartenere ad una comunità

1958, la TV è sinonimo di aggregazione per la famiglia nel tempo libero
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Ecco perché, sotto certi aspetti, la televisione è considerata lo specchio fedele del costume nazionale di un Paese, il frammento tra i più significativi della cultura popolare che in quel periodo presero a chiamare «di massa». 

Una nuova cultura e una nuova società in cui l’immagine avrebbe presto soppiantato la parola scritta, contribuendo a diffondere nuovi linguaggi e nuovi valori a discapito di quelli tradizionali. Un fenomeno culturale che ebbe una forza di penetrazione sconosciuta a tutti quelli del passato. 

4La produzione standard per l’Homo consumens

Per far sì che televisioni, forni e frigoriferi fossero presenti in tempi sempre più ridotti in tutte le case dei cittadini occidentali, bisognava produrre una grande quantità di beni a un costo sempre più basso. Era la standardizzazione della produzione, lontana parente della rivoluzione industriale e dei metodi fordisti della produzione in serie. Così facendo, la produzione industriale triplicò il suo volume creando un ciclo ininterrotto di crescita che durò quasi vent’anni.

In questo periodo anche l’agricoltura si sviluppò e si modernizzò. Tuttavia, il numero dei contadini diminuiva mentre cresceva l’occupazione nel terziario: commercio, servizi e amministrazione. Ciò provocò un grande inurbamento (come vedremo nel prossimo paragrafo) dettato anche dall’improvviso rifiuto della società tradizionale, rappresentata da quel mondo contadino che si era appena abbandonato. Proprio questo dato fa emergere anche una mentalità di tipo nuovo che andava formandosi. 

Un operaio della Ford, 1950. La produzione massiva dei beni è una delle caratteristiche del boom economico
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Dopo secoli di “cultura contadina” che considerava il risparmio un vero e proprio valore morale, mentre lo spreco era visto quasi come un peccato religioso, dalla fine degli anni Cinquanta in poi, nei maggiori centri urbani degli Stati occidentali, cominciò ad imporsi un nuovo modello culturale consumistico. Quello che il filosofo polacco Zygmunt Bauman avrebbe definito «Homo consumens». Un cittadino disposto ad accumulare beni di seconda necessità, riflesso di una nuova cultura in cui la paura, l’esperienza o il ricordo della carestia della guerra apparivano ormai lontane e dimenticate.

5Il consumismo e la crescita demografica e urbana

Modelle in minigonna nel 1967. Negli anni del consumismo anche la figura femminile cambia
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A far vacillare la tradizionale attitudine psicologica nei confronti dei consumi fu, in primo luogo, l’intenso processo demografico e di inurbamento che, nel secondo dopoguerra, modificò la distribuzione della popolazione europea. 

La società europea fu attraversata da un massiccio fenomeno di migrazione interna, con lo spostamento di ampie masse di uomini dalle campagne alle città, che coincise con un allargamento della domanda dei beni di consumo, di case, di scuole e ospedali.

Le quattro principali città italiane: Roma, Milano, Torino, Genova conobbero un’espansione impetuosa, mentre la percentuale di addetti al settore agricolo calò dal 43% al 28%

La crescita demografica toccò picchi elevati, a tal punto che gli abitanti della terra, nel giro di questi vent’anni (1950-1970), divennero 3 miliardi e mezzo

In generale, nel periodo che prese il nome di Baby Boom, la vita media di un uomo si estese fino a 70 anni, anche grazie ai progressi del vaccino, ad alcuni essenziali principi igienici, all’ingresso della carne nella dieta di ognuno e a una migliore qualità di alimentazione

Ciò nonostante, un’altra grande percentuale della popolazione europea vi contrappose un drastico calo di natalità dovuta alla maggiore frequenza di divorzi, al controllo delle nascite (la pillola anticoncezionale), incremento del lavoro femminile, costi crescenti per istruzione e mantenimento di figli, spazi abitativi più piccoli, maggior preoccupazione per il benessere materiale e minor influenza della religione

6Il consumismo e l’American way of life

Fila davanti al cinema, New York, 1950
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A promuovere una mentalità orientata verso il consumismo contribuì fortemente anche la forza pervasiva del modello americano che, attraverso i dollari del Piano Marshall, la musica e i film di Hollywood, si diffuse in tutta l’Europa occidentale.  

Frutto di una società democratica e individualista, fortemente stratificata, ma incardinata su un ceto medio diffuso, l’american way of life riflette, anche semanticamente, l’idea che tutti gli americani possano godere dello stesso stile di vita. 

Come abbiamo detto, la formazione di una comunità sostanzialmente omogenea di consumatori è un presupposto indispensabile alla nascita della “società dei consumi”. Questa colonizzazione culturale americana impone un nuovo concetto di cittadinanza, nel quale un accesso allargato ai beni di consumo tende a diventare una parte integrante della democrazia.

Una cucina più funzionale, una casa più confortevole, una macchina più veloce diventano obiettivi irrinunciabili di promozione sociale, e a milioni di cittadini europei sembra che la progressiva diffusione di questi beni possa assicurare un certo grado di benessere, anche là dove (come in Italia) la diffusione e la qualità dei servizi pubblici non hanno conosciuto un incremento in alcun modo paragonabile alla crescita dei consumi privati.

7La critica al consumismo: i pro e i contro

Pier Paolo Pasolini: la sua critica al consumismo fu feroce
Fonte: ansa

Pronti a denunciare il carattere meramente illusorio di questo progresso furono invece gli intellettuali di mezza Europa. Dai sociologi della Scuola di FrancoforteAdorno, Horkheimer, Marcuse, Fromm — a Pier Paolo Pasolini in Italia, si avviò una riflessione critica che sfociò in una condanna totale e senza appello al consumismo. Secondo questi intellettuali, il consumismo crea soltanto un’illusione superficiale di uguaglianza tra le classi.    

Anzi, proprio le classi subalterne, appunto illuse da tale uguaglianza, non riescono a prendere coscienza della propria condizione e abdicano alla loro carica antagonista. La “società dei consumi”, al dunque, depotenzia la molla del riscatto sociale e viene meno la fondamentale lotta di classe contro i “padroni” e, ora, anche contro i cosiddetti “persuasori occulti” (i pubblicitari) rei di creare falsi bisogni nella classe operaia.

Il peggior totalitarismo che si sia mai visto” dirà Pasolini, rifiutando politicamente e ideologicamente il cosiddetto “principio di prestazione”. Una moderna repressione strettamente legata alla stratificazione sociale e alla divisione del lavoro che vedeva nella prestazione dell’individuo un dovere, quasi un obbligo verso la società. 

8Crisi del consumismo e la fine dell’Età dell’oro

Zygmunt Bauman. Sua la definizione di "homo consumen"
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Dopo il ’68 e le proteste studentesche diffuse in tutta Europa, e partite dalla prestigiosa Università di Berkeley nel 1964, durante gli anni Settanta cominciò a riaffiorare una forte necessità di differenziazione individuale basata su scelte di consumo più consapevoli. 

L’inizio di questa trasformazione andò di pari passi con il graduale reflusso dell’Età dell’oro, per cui giocò un ruolo fondamentale la crisi petrolifera dei primi anni Settanta.

Questa crisi impose all’attenzione dell’opinione pubblica la questione dei “limiti dello sviluppo”, ovverosia i temi della compatibilità e della sostenibilità ambientale di un modello di sviluppo basato sulla progressiva espansione dei consumi. 

Dopo la Guerra del Kippur del 1973, e la conseguente quadruplicazione dei prezzi del petrolio, ci si rese conto che, nell’eventualità che il resto del mondo sviluppasse uno stile di vita simile a quello del mondo occidentale, per disporre dell’energia e dei materiali necessari sarebbe stato indispensabile sfruttare almeno altri due pianeti di caratteristiche equivalenti a quelle della Terra.

In altre parole, allo stato attuale la “società dei consumi” può sopravvivere solo in una parte del mondo, e a condizione di poter sfruttare anche le risorse dell’altra parte. Una prospettiva niente affatto rassicurante, in verità, che mette in crisi l’ottimistica certezza che il domani sarà migliore dell’oggi e fa vacillare quell’idea di un diritto naturale all’abbondanza che si era fatta strada durante “l’età dell’oro”. 

Io credo, lo credo profondamente, che il vero fascismo sia quello che i sociologhi hanno troppo bonariamente chiamato la "società dei consumi".

Pier Paolo Pasolini
    Domande & Risposte
  • Cosa significa consumismo?

    Il consumismo è un fenomeno economico-sociale tipico della società industrializzata consistente nell’acquisto di beni che soddisfano i bisogni secondari, cioè quelli non legati all’alimentazione e alla sopravvivenza.

  • Quando inizia il consumismo?

    Nel secondo dopoguerra.