Cynthia Nixon: «La mia nuova Miranda. Sex and the City? Non era poi così femminista»

Gli insulti piovuti addosso alla sua Miranda («Basta criticarla, è la sua nuova versione woke»), l'odio per il personaggio di Che Diaz, il ritorno di Samantha e la vecchia serie. Incontro con la star di And Just Like That
Cynthia Nixon Miranda
Photo from Getty Images. 

Quando l'anno scorso Cynthia Nixon è tornata all'ovile di Sex and the City per And Just Like That, era entusiasta delle nuove possibilità che si aprivano per Miranda. Dopo essersi liberata del suo matrimonio moribondo e avere abbandonato la stabile carriera di avvocato aziendale, il personaggio di Nixon si è lanciata in una nuova relazione con Che Diaz (Sara Ramirez), podcaster non binaria, cabarettista e personaggio decisamente controverso. All'inizio della seconda stagione, Miranda, la più cinica e arrivista del quartetto originale, ha rinunciato allo stage dei suoi sogni per volare a Los Angeles insieme a Che, impegnata nelle riprese del pilot di una sitcom intitolata Che Pasa. Così Miranda diventa Alice nel Paese delle Meraviglie Queer, esplorando la collezione di strap-on di Che e dichiarandosi entusiasta di essere «una nuova persona, la migliore di sempre».

«È scesa nella tana del coniglio», dice Nixon al telefono dalla sua casa di New York, ridendo affettuosamente. «È quello che succede quando cominci una relazione e tutto sembra nuovo, le possibilità sembrano infinite. I momenti di difficoltà devono ancora arrivare».

Nixon invece quei momenti li ha già vissuti, per esempio quando si è candidata a governatrice di New York nel 2018. Alcune delle critiche mosse alla serie (e al suo personaggio) la sorprendono. Si chiede da dove nasca il fastidio di tante persone nei confronti di Che e come mai la maggiore apertura mentale e sensibilità culturale di Miranda abbia creato disagio agli spettatori e ci confida che cosa pensa del ritorno, fugace, di Samantha Jones (Kim Cattrall).

And Just Like That riprende da dove si era interrotta la prima stagione, con Miranda che inizia una nuova vita. Come si manifesta la sua trasformazione in questa stagione?
«Arriviamo a punti diversi della nostra vita, giriamo un angolo e all'improvviso tutto sembra fantastico. Siamo tutti consapevoli che non durerà. Ma Miranda credo sia innamorata. È uscita da un matrimonio che piano piano la stava uccidendo e dopo anni di lavoro nello studio legale di una grande azienda, ha intrapreso un percorso nuovo per cercare di mettere le sue competenze al servizio delle persone che ne hanno bisogno. Si gode l'euforia della California, non ha impegni e vive con la sua amante che sta iniziando una serie televisiva».

Miranda è sempre stata quella cinica. Immagino che questo suo tratto a un certo punto possa riaffiorare.
«Quando spiega al telefono a Carrie come ha rotto con Steve, le dice: “Sono in una commedia romantica, Carrie!”. Miranda non si è mai vista così. Non ha mai pensato che quello avrebbe potuto essere il suo destino, soprattutto non in una fase così avanzata della sua vita». Ride.

Il povero Steve ora è in un film di altro genere.
«Si, è vero».

Si è sempre discusso molto quando Sex and the City era in onda: era una serie piuttosto femminista, i personaggi erano troppo o non abbastanza sessuali... Non è mai stata sorpresa da alcune delle critiche ricevute da Miranda nell'ultima stagione?
«Non seguo questo genere di cose, ma ne ho capito il succo, in base a quello che mi dicevano i giornalisti. E, lo ammetto, ne sono rimasta davvero sorpresa. Credo che le donne bianche animate da buone intenzioni abbiano molto da imparare. Magari non solo loro, ma io sto pensando proprio a loro e sono sinceramente convinta che ci siano state donne bianche che hanno guardato la serie e hanno pensato che Miranda fosse più intelligente, più in gamba, più evoluta, più avanti, migliore, insomma, di come veniva presentata. Perché se non lo è lei, allora non lo sono nemmeno io. Credo che il problema sia tutto qui».

Le persone hanno percepito quelle critiche come se fossero state rivolte a loro.
«Già. Se Miranda dice cose imbarazzanti, allora forse anch'io sono un po' più stupida di quanto penso. Ma in realtà siamo tutte stupide e Miranda è una persona che è sempre partita lancia in resta e poi è stata costretta a fare marcia indietro per rimediare ai danni. Quindi la sua scelta è assolutamente sensata, risponde al suo desiderio di essere più – in mancanza di una parola migliore – woke, più sensibile al mondo che la circonda, a ciò che finora ha trascurato».

Sì, siamo tutte stupide.
«Per me è sempre stato questo il bello della serie originale, o no? Carrie fuma troppo, spende troppi soldi in scarpe ed esce con il ragazzo sbagliato; Charlotte se ne va in giro senza sapere bene che cosa vuole dalla vita. Miranda, da parte sua, è talmente concentrata sulla sua carriera da essere un po' stronza. Il punto è che il pubblico ha voglia di seguire queste donne e di empatizzare e identificarsi con loro, condividere le loro aspirazioni. Ha voglia di vederle con tutti i loro difetti, le loro mancanze e i loro errori».

Quando Sex and the City è stato trasmesso per la prima volta, era una novità, non c’era niente di simile. Le critiche che venivano rivolte alla serie la colpivano anche come arbitro della cultura pop femminile.
«All’inizio ha creato molto disagio vedere quelle donne che facevano così tanto sesso con tanti uomini diversi e che ne parlavano tranquillamente e con grande pragmatismo. Condividevano dettagli intimi senza sentimentalismi e senza mostrare alcuna fragilità emotiva. Eppure ci piacevano, le ammiravamo, ci identificavamo con loro. È la dicotomia tra vergine e puttana: non si può essere brave ragazze e fare molto sesso e avere tutti i vizi di questo mondo, giusto? Chi guardava la serie faceva fatica a conciliare i vari aspetti. E io credo che l'idea di quelle donne che facevano molto sesso o indossavano abiti provocanti, in qualche modo non fosse femminista. Mi spiego...

Quando mi sono candidata a governatrice nel 2018, durante la campagna ho indossato molti abiti. Sentivo la differenza se mi presentavo con un completo coi pantaloni piuttosto che con un vestito, o anche un blazer e una gonna. Quando indossavo i pantaloni i miei interlocutori riconoscevano la mia autorevolezza, a differenza di quanto succedeva se indossavo una gonna».

Miranda Hobbs potrebbe candidarsi?
«Non credo. Miranda è una che sta più dietro le quinte. Ma non si sa mai».

Ha qualche idea delle ragioni per cui Che risulta essere un personaggio così polarizzante? È diventata un meme e sono usciti articoli che la dichiaravano il personaggio televisivo più odiato.
«Sinceramente no, non saprei. La risposta più immediata e comprensibile, forse, è che si tratta di un personaggio non binario. Per alcuni è una cosa molto bella, mentre altri si sentono a disagio e si sfogano. Possiamo aggiungere anche il fatto che la relazione tra Miranda e Che mette fine a quella di Miranda con Steve, una coppia a cui il pubblico è molto affezionato. Poi, non lo so. Voglio dire, non è certo per Sara. Sara è una persona e un'interprete incredibilmente coinvolgente e carismatica. Il personaggio di Che non è certo perfetto, è non binario, sexy, divertente e sorprendente. Spero che nessuno si aspetti sia una pubblicità bidimensionale di tutto ciò che un ragazzo o una ragazza scout potrebbero essere. Voglio dire, non siamo moralmente immacolate. Se ha delle idee in merito, mi piacerebbe sentirle, perché non capisco».

By Craig Blankenhorn/HBO.

Il podcast con il pulsante «momento woke» mi è sembrato un po' eccessivo…
«Come se ci stessimo sforzando troppo o qualcosa del genere?».

Gli spettatori hanno nostalgia di quei personaggi e il fatto che si sforzino di essere contemporanei potrebbe risultare stonato. Ma mentre parlavo con lei di questa serie che ha suscitato così tante discussioni e critiche, ho iniziato a pensare a uno dei suoi primi ruoli, nel film Little Darlings.
«Onestamente penso spesso a Little Darlings, perché era un film davvero meraviglioso. È stato un grande successo, nonostante avesse ricevuto recensioni pessime. Ne ricordo una, su un giornale di New York, il cui attacco recitava testualmente: Ecco un'idea disgustosa per un film. Little Darlings parla di due adolescenti che s’ incontrano al campo estivo e fanno una scommessa su chi riuscirà a perdere la verginità per prima. Il campeggio si schiera con l'una o con l'altra. È proprio come Sex and the City, e forse anche come And Just Like That: è l'idea di donne che prendono in mano la propria sessualità e la trattano come un gioco o una gara, non come qualcosa in cui è profondamente coinvolto il loro cuore. La gente si spaventa: Che schifo! È terribile!».

Che io ricordi, era uno dei pochi film di quell'epoca che si occupava dei desideri e delle ambivalenze delle giovani donne, con un'intera gamma di personaggi femminili. Era un film davvero insolito.
«Quanti sono i film statunitensi e stranieri che parlano di ragazzi e adolescenti che perdono la loro verginità? È un tema ricorrente. Ma film su ragazze che decidono intenzionalmente di farlo non ce ne sono. Una delle donne con cui ho recitato in Little Darlings mi ha mandato un podcast in cui Quentin Tarantino e i co-conduttori parlano molto di Little Darlings. Mi ha rincuorato molto il fatto che abbiano detto di averlo amato da ragazzi. Hanno detto anche che era un film su una ragazza viziata e una dura, ma ora lo vediamo e sappiamo che Kristy McNichol è lesbica. Quindi la nostra lettura adesso passa attraverso quel prisma, secondo cui in realtà quel personaggio è lesbica e sta cercando di strafare. Prova a ingannare gli altri e sé stessa. Tutte cose che paiono evidenti quando fa sesso per la prima volta e si sente così a disagio con il proprio corpo e che attraverso questa lente appaiono ancora più strazianti».

Di recente ho visto il documentario di Brooke Shields, in cui ripensa alle cose che le hanno chiesto di fare sullo schermo e ai momenti in cui si è dissociata dal suo corpo. Lei è riuscita a mantenere il senso di sé durante la sua carriera di attrice bambina?
«Da bambina ero molto turbata all'idea di baciare altre persone. Ci sono stati diversi progetti per i quali mi è stato chiesto di fare un provino e che ho rifiutato a causa del contenuto sessuale. E ora, ripensandoci, penso sia stato sciocco. Ma avevo dei genitori che mi ascoltavano molto attentamente e tutto ciò che non volevo fare, non lo facevo. Ho iniziato a recitare a 11 anni. A New York si pensa sempre che quella sia un’età magica, quella in cui si può finalmente uscire da sole e prendere i mezzi pubblici. Andavo da sola alle audizioni. Ero io a decidere che cosa fare e non fare. Ho frequentato una scuola – media e superiore – pubblica molto competitiva. Tutti in quella scuola erano intelligenti come campioni di scacchi e premi Nobel. Era difficile tirarsela, perché a sinistra o a destra, c'era sempre qualcuno che faceva cose incredibili che tu non sapevi fare».

Lei ha diretto alcuni episodi di And Just Like That. È una sfida dirigere una serie di cui sei anche protagonista?
«Non ho mai diretto un’altra serie, ma sono certa che è infinitamente più facile. Parlavamo di tutte le scene di sesso che giravamo in Sex and the City, con tutti quegli uomini, che spesso erano ragazzi presenti in un solo episodio. Tutto era reso più semplice dal fatto che giravamo a casa nostra e che eravamo noi a controllarla. Il più delle volte, quando devi girare una scena d'amore o di sesso, l’uomo è il protagonista e tu sei l'esca. Devi essere lì, splendida e seducente. In questo caso, invece, le posizioni sono ribaltate, sono gli uomini a trovarsi in quella parte. Quando stai tanto tempo sul set di una serie, sempre con quelle persone dietro e davanti alla macchina da presa, finisci per sentirti letteralmente a casa tua. Le cose che sarebbero spaventose lo sono molto meno, perché sei a casa con la tua famiglia. E se sei andato fuori strada, gli amici te lo dicono».

In uno degli episodi che ho visto di questa stagione c'è una conversazione sulla positività del corpo. E la serie, va detto, ha sempre avuto un filo conduttore nella moda e nella bellezza. Mi chiedo se senta mai una certa ambivalenza rispetto a questi temi.
«C'è sicuramente qualcosa di irreale nel fatto che andiamo in giro sempre bellissime e con i tacchi. Ma la serie affronta anche il tema dell’invecchiamento e del decadimento. Certo, cerchiamo tutte di apparire più belle che possiamo, al limite delle nostre possibilità, grazie alle luci, ai vestiti, ai capelli e al trucco. Ma nell'episodio che ho diretto l'anno scorso c'è anche Carrie che va dal chirurgo plastico. Allo stesso modo, queste donne amano il sesso e lo fanno alla grande, ma non è che ogni volta sia fantastico. Al contrario».

Quello della chirurgia plastica era un argomento quasi inevitabile per quelle donne in particolare.
«Verissimo. Non fingiamo che la chirurgia plastica non esista, che non sia qualcosa che tante persone prendono in considerazione e su cui esistono opinioni diverse. Il pericolo è quello di far credere che ci si possa davvero alzare dal letto fresche come rose. Dobbiamo fare il possibile per impedire che si diffonda questo mito!».

Ci vuole un intero villaggio per apparire sempre così belle.
«È proprio così. E un sacco di belle luci».

Lei è una sostenitrice LGBTQ e madre di un figlio trans. Il fatto che la comunità trans sia ora un bersaglio per la destra, la spinge a intensificare il suo attivismo?
«Io e mia moglie ne parliamo spesso e cerchiamo di capire come reagire e combattere questa situazione. Penso che televisione, cinema e palcoscenico siano importanti, perché se guardo al modo in cui gay e lesbiche hanno ottenuto diritti molto più ampi di quelli che avevano prima, mi rendo conto di quanto sia stato importante il coming out delle singole persone supportate dalle loro famiglie, dai loro colleghi e dai loro ambienti. Molto tuttavia è dipeso anche da ciò che le persone hanno visto in TV: Will & Grace ed Ellen, Neil Patrick Harris e Rosie O'Donnell. A volte una persona che ammiri in TV, che ti fa ridere o ti commuove, diventa una persona da cui puoi imparare a conoscere le persone queer, solo perché si trova dietro uno schermo. Secondo me è molto importante dichiararsi a tutti nel proprio mondo, nel proprio ambiente. Altrettanto importante è mostrare in televisione e al cinema personaggi che poi il pubblico impara ad amare e a conoscere attraverso la fiction».

Prima di concludere, devo chiederle dell'apparizione di Samantha Jones in questa stagione. L'ha vista?
«L'ho letto nel copione, ma non ho visto nessuno degli episodi».

Non è stato strano tornare nella serie e non trovare Samantha? La dinamica non era diversa?
«In realtà non è una cosa di cui parliamo, ma proverò comunque a risponderle in modo sintetico. Sì, è stato molto diverso. È stato molto diverso anche perché abbiamo nuovi personaggi fantastici, siamo più vecchie e i nostri figlisono ormai cresciuti. Sono molte le cose che ci sono sembrate diverse. Ma ciò che conta davvero e fa la differenza è che tutti coloro che erano lì volevano davvero esserci. Questo è il punto fondamentale. Ci amiamo tutti, amiamo il nostro show, volevamo farne altri. Recitare senza dovere fare i conti con l’insoddisfazione o l’infelicità di qualche collega fa un'enorme differenza».

Quindi non ha contattato Kim Cattrall?
«Temo di non poter aggiungere altro. E di avere già detto più di quanto abbia mai detto».

Credo che per gli spettatori, abituati a vedere certi personaggi, sia un'esperienza strana. Qualcuno che scompare all’improvviso. È come sapere che degli amici hanno litigato, ma senza conoscere come o perché.
«Beh, non sono i soli. No. Ma non abbiamo più nemmeno Willie Garson, il che è veramente doloroso. C’è stato chi ha sempre creduto che ci sarebbe stato un altro Sex and the City e direi nessuno più di Kristin Davis e Willie Garson. Lui ha fatto cose grandiose in quella prima stagione, e Sarah Jessica era l'unica a sapere che era malato. Scoprirlo poi, scoprire quanto fosse grave e quanto poco tempo avesse a disposizione... Poi ci ha lasciato».

Dev’essere stato devastante. Ed è uno dei temi della serie, giusto?
«Credo che il senso del titolo sia proprio questo. Si arriva a un'età in cui si pensa alla direzione che ha preso la propria vita, a ciò che si desidera realmente. E poi, all'improvviso, tutto si trasforma. Nel caso di Miranda, si trasforma in meglio. Era rimasta intrappolata, bloccata e infelice per così tanto tempo senza una via d'uscita. All'improvviso ha ripreso a respirare, a vivere, a seguire le proprie emozioni i propri sentimenti. Carrie, invece, ha trovato il suo amore, il coronamento di una vita perfetta. E poi, in maniera del tutto inattesa, lui se ne va e lei non sa più chi è o quale dovrebbe essere la sua vita».