La maledizione di Glee è una sciocchezza: è ora di affrontare la realtà

Un documentario di Discovery+ svela il dietro le quinte di una delle serie più acclamate dell'ultimo decennio, spiegandoci perché parlare di una maledizione sia stupido e irrispettoso per le vittime
Lea Michele e Cory Monteith rispettivamente Rachel e Finn in Glee
Lea Michele e Cory Monteith, rispettivamente Rachel e Finn in GleeFOX/Getty Images

Il fatto che qualcuno parli ancora, dopo tutti questi anni, di una «maledizione di Glee», oltre a essere ingiusto, è anche profondamente offensivo. Credere che ci sia una maledizione dietro a una delle serie di maggior successo dell'ultimo decennio sminuisce inevitabilmente la complessità della vita di tutte le persone coinvolte, lasciandoci capire che alcuni fan hanno preferito credere che ci fosse una forza oscura all’opera anziché accettare la realtà dei fatti. Un documentario di Discovery+ intitolato proprio La maledizione di Glee cerca, però, di capire quanto effettivamente fosse tossico il set di una delle serie più apprezzate e chiacchierate del mondo chiedendosi se certe condizioni di lavoro possono aver acuito o peggiorato alcune patologie di cui soffrivano gli artisti protagonisti. La cosa inequivocabile che emerge dai tre episodi disponibili sulla piattaforma è che nessuno si sarebbe aspettato che Glee diventasse un fenomeno globale di questa portata, portando di conseguenza la troupe a essere sottoposta a uno stress eccessivo per riuscire a soddisfare la fame di un pubblico sempre più stregato da quei quadri e da quelle coreografie esplose su Fox in tutta la loro dirompenza.

Il cast di Glee nel 2010Kevin Winter/Getty Images

Si parla di un nutrito gruppo di attori costretti a lavorare 16 ore al giorno per un totale di 70 ore alla settimana senza fermarsi mai: se non recitavano, provavano; se non provavano, erano in sala di incisione per completare l'album; e se non erano a incidere erano a preparare il tour che, in estate, li avrebbe portati a coprire venti tappe in giro per il mondo senza potersi sottrarre, pena la rescissione del contratto. Da quel momento in avanti nulla sarebbe stato più come prima. Insieme all'eccessivo protagonismo di Lea Michele, che sarebbe riuscita ad accaparrarsi la bellezza di 80mila dollari a episodio, il documentario parla di un clima teso e spinoso tra i membri del cast, fatto sia da competizioni idiote come il numero dei follower che ciascuno di loro radunava su Twitter dopo la messa in onda di una nuova puntata di Glee su Fox e sia su antipatie - storica quella tra Michele e Rivera - che rendeva tutti ancora più nervosi e ancora più stressati. Il primo a soffrire per l'eccessiva esposizione al pubblico e alle critiche è stato Cory Monteith, che ben prima di entrare a far parte del cast aveva avuto dei trascorsi di droga e alcol causati, appena quattordicenne, dal trauma per il divorzio dei suoi genitori.

Il cast di Glee con il creatore della serie Ryan Murphy durante la cerimonia del 67esimi Golden Globe Kevin Winter/Getty Images

Quando ha ottenuto la parte Monteith era pulito, pur sentendo presto di non essere all'altezza delle aspettative degli altri. Non era un cantante professionista, non era un ballerino provetto, e ha iniziato a sentirsi inadeguato trovando rifugio nell'alcol, nella droga e negli antidepressivi fino a quando non ha messo al corrente lo showrunner Ryan Murphy della situazione che, fortunatamente, gli ha concesso la possibilità di disintossicarsi comparendo in molti meno episodi nella quarta stagione della serie. Lì, però, succede l'impensabile: Monteith viene ritrovato morto in una stanza d'albergo per overdose, e la cosa non può che scuotere il magico mondo che la serie sembrava aver creato allo scopo di nascondere sotto al tappeto il marciume che la consumava. Da quel momento in avanti le cose precipitano: i membri del cast vengono richiamati sul set di Glee dopo appena due settimane dalla notizia della morte di Cory, e pare che a contribuire fortemente a questa decisione sia stata Lea Michele, che con Cory Monteith ha anche intrattenuto una storia nonostante, dicono i testimoni interrogati nel documentario, fossero completamente diversi: lui schivo e insicuro, lei determinata e autoritaria al punto da aver detto alla produzione di non volere che una comparsa pranzasse allo stesso tavolo dei membri principali del cast. 

Mark Salling e Naya Rivera. Scomparsi rispettivamente nel 2018 e nel 2020Michael Buckner/Getty Images

Come sappiamo, non finisce però qui, visto che diversi membri del cast tecnico iniziano a stare male - due muoiono di infarto e altri due si tolgono la vita - e visto che due nuove tragedie sono pronte a chiedere il conto a una serie che ha continuato a far parlare di sé ben oltre la sua chiusura. La prima riguarda l'attore Mark Salling che, accusato di possedere materiale pedopornografico all'interno del suo computer, si impicca in un boschetto dimenticato da dio nel 2018, e la seconda riguarda l'attrice Naya Rivera, che nel 2020, in gita in barca con suo figlio sul lago Piru, affoga nell'acqua dolce dopo aver usato le sue ultime energie per salvare la vita del suo bambino mettendolo al sicuro sull'imbarcazione - nel suo sangue sono state trovate tracce di Diazepam, un antidepressivo, di Fentermina, un farmaco anoressizzante, ma anche di Etanolo che, probabilmente, è stato rinvenuto perché il corpo è stato ammollo nell'acqua per ben cinque giorni -. L'immagine del cast della serie stretto in un abbraccio con lo sguardo rivolto al lago per darle l’ultimo saluto sulla riva è forse una delle più potenti e più dolorose mai viste, anche se Glee ha continuato a rendere turbolenta la vita di altre persone coinvolte nelle sue spire. Come l'attrice Melissa Benoist, che nel 2020 ha rivelato su Instagram di essere stata vittima di violenza domestica nel periodo in cui era fidanzata con un altro membro del cast, l'attore Blake Jenner. Ripetiamo, di maledizione non possiamo e non vogliamo parlare, ma chiedersi se questi ragazzi catapultati improvvisamente verso il successo sarebbero potuti essere più tutelati e protetti anziché mandati al macello in nome del profitto è oltremodo lecito. La maledizione rende tutto più sopportabile e dà senso a qualcosa che sembra insensato, ma non è la risposta per nulla. Né per le vittime né per i fan.

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