Perché vale sempre la pena andare in Sicilia a cena da Ciccio Sultano
Franco «Ciccio» Sultano è il miglior cuoco della Sicilia, per le guide (a partire dalla Michelin che assegna due stelle al suo ristorante - Duomo, a Ragusa - e la critica in generale. Ma soprattutto è un uomo curioso, non facile da interpretare. Un vulcano di idee da un lato e un silenzioso osservatore dall’altro. Potrebbe entrare in un libro di qualche illustre corregionale, recitando ruoli diversi. Ma conquista subito chi va nella sua terra con la voglia di capirla, anche attraverso il cibo. Se ne accorse anni fa persino il Wall Street Journal che lo definì «Ambasciatore entusiasta della cucina siciliana e studioso delle influenze lasciate sulle ricette locali dai tanti conquistatori». Gran bella medaglia per Ciccio, oltre al regalo di centinaia di clienti americani che si siedono nella raffinata bomboniera che ha creato nel centro della splendida Ibla, Patrimonio dell'Unesco. «Una strada barocca, né larga né stretta, giusta, che a una delle estremità ha la cupola del Duomo come sfondo» spiega lo chef sulla homepage del sito ufficiale. Perfetto nel descriverla, emozionante percorrerla.
Sultano, affiancato dalla moglie Gabriella Cicero, ha un grande merito: ha fatto di Ragusa una meta gourmet perché al due stelle Michelin del Duomo, ha affiancato il panificio con tavola “bistrot” de I Banchi e il laboratorio creativo-cocktail bar Cantieri Sultano. Tutti frequentati da una clientela curiosa, appassionata e internazionale che sciama per le vie del centro. La casa madre è suggestiva, «calda» ma non mediterranea in senso classico e la cantina, diretta da Michela Vitale, resta una grotta delle meraviglie - con 1.200 referenze d’ogni dove e gran profondità d’annate, ideali per i pairing di livello e capaci di rappresentare il perno di tre percorsi dove i piatti sono pensati per esaltare spumanti, bianchi e rossi di grande livello.
Certo, la cucina non perde - e non perderà mai - il ruolo centrale. All'insegna di quel concetto filologico di «Dominazioni Siciliane» che Sultano ha elaborato una ventina di anni fa e continua a innervare i suoi menu, stagione dopo stagione. «Non sono uno che segue la corrente, ma nuoto nel mio mare che ha due orizzonti: la Sicilia e la clientela che si siede al ristorante. Quando dico la Sicilia, non faccio né un discorso campanilistico né passatista: è il centro, per ragioni storiche, geografiche e climatiche. Difficile pensarla come un’isola e basta, vista l’incredibile ricchezza culturale e quindi culinaria che la pone al di sopra e al di là di altri luoghi. Siamo, e lo dice la storia, in una posizione centrale, da cui si parte e a cui si torna» sottolinea con legittimo orgoglio.
Ed ecco allora gli itinerari, tra ricette antiche con ingredienti senza tempo e visioni moderne su prodotti d’eccellenza. In Stupor Mundi (198 euro) Sultano e il fidato braccio destro Alessandro Fornaro traducono la globalizzazione in contaminazioni folgoranti (la salsa al tè nero e whisky Talisker 11 anni per il Capidduzzu, ostriche e caviale, o la salsa di mais per l’Animella e scampo). In Basileus Hyblon (178 euro) domina la Sicilia vista con l’occhio di un maestro che ne conosce ogni piega: l’ormai iconica Pasta ai ricci cotti e crudi e burro di mandorla d’Avola; lo Spaghetto nero, gambero rosso e seppia; l’Agnello, cipollotto, fave e vaniglia. Mentre Fabrizio Fiorani ha sublimato il concetto del dolce con proposte spiazzanti che dietro la semplicità del nome (carota, pera, cedro e latte), celano esiti complessi quanto golosi. A corredo dell’esperienza mille attenzioni, inclusi lievitati di livello e un servizio perfetto, guidato da Riccardo Andreoli, veronese approdato qui da tempo. Ed è possibile scegliere alla carta due, tre o quattro piatti.
Come definire la cucina di Ciccio Sultano? Di gusto e di estetica, colta e viscerale, perfetta nella tecnica ma non ripetitiva. Per alcuni, la sequenza delle proposte potrebbe sembrare squilibrata ma non lo è. «Creare un piatto è come improvvisare nel jazz: puoi rifarlo mille volte, ma rispecchia sempre emozioni e umori di quel momento». Ha ragione e del resto «Nel bene e nel male, la Sicilia è l'Italia al superlativo» diceva la scrittrice francese Edmonde Charles Roux, che conosceva bene il nostro Paese. Forse era passata anche al Duomo di Ragusa.