A Marsa Matruh e El Alamein: vacanze in Egitto sì o no?
All’aeroporto di Marsa Matruh bisogna tenere tutti i documenti personali e di viaggio bene in vista, per favorire i controlli del personale di sicurezza. A ogni angolo ci sono metal detector pronti a scansionare qualunque cosa gli passi accanto e autoctoni con addosso abiti neri dozzinali, autorizzati a ispezionare a fondo ogni valigia. Non è un caso che per la sicurezza aeroportuale l’Egitto abbia negli ultimi anni speso qualcosa come 60 milioni di euro: il che spiega anche l’affiancamento di caccia militari ad alcuni voli turistici.
La base di partenza di questo viaggio in Egitto è proprio Marsa Matruh, capoluogo del governatorato più grande del Paese. La città, l’ultimo centro abitato prima del confine libico, è separata dal Sahara dalla lunghissima strada 40, una lingua di asfalto bollente che divide la zona accessibile - le decine di chilometri di costa cementificati con un numero imprecisato, in continuo divenire, di villaggi turistici - da quella che è bene considerare off-limits. Diciamolo subito, soprattutto per i cuori più impavidi: è «vivamente sconsigliato» entrare nelle regioni desertiche egiziane in questo delicato momento storico anche se si è esperti, anche se si viaggia con una guida locale, anche se è forte la tentazione di raggiungere la non lontanissima Oasi di Siwa, uno degli ultimi baluardi del popolo berbero. Il motivo è semplice: nessuno (o quasi) sarà in grado di garantire la vostra incolumità se vi allontanate troppo dalla costa e vi avventurate nell’entroterra.
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Restiamo sulla costa, dunque. Il tratto di Mediterraneo africano che va da Marsa Matruh a El Alamein è un tratto di acque dai riflessi turchesi, che guizzano su banchi di sabbia sottilissima e setosa. Oggettivamente bellissimo. A ridosso di queste acque, nell’Almaza Bay, spunta l’arabeggiante Jaz Oriental Resort di Veratour, protagonista di una stagione da tutto esaurito che alcuni addetti ai lavori hanno etichettato come la conferma della rinascita turistica della terra dei Faraoni. Tra questa folta schiera di ottimisti c’è Stefano Pompili, direttore generale del tour operator romano, che ha definito il 2018 «l’anno del rilancio dell'Egitto, dopo le fortissime battute d’arresto provocate dal terrorismo. Tutta l’area ha fatto registrare per noi una crescita del 120%, ponendo le basi per l’apertura di tre nuove strutture in Nord Africa». Si tratta del Veraclub Utopia e del Montemare - che saranno inaugurate nel marzo 2019 rispettivamente a Marsa Alam e Sharm El Sheikh - e di un nuovo villaggio a Kelibia, in Tunisia, a maggio.
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È dal quartier generale del Jaz Oriental che mi sposto diretto a est lungo la polverosa carreggiata della 40, una specie di palcoscenico alla Fast & Furious in salsa egiziana, dove i trabiccoli degli allevatori poveri vengono sorpassati a velocità estreme dai macchinoni dei beduini abbienti, che grazie al business della pastorizia si sono anche costruiti case in stile villoni anni '70.
A 180 chilometri da Marsa Matruh c’è la città di El Alamein, con il suo sacrario militare italiano e il Cimitero del Commonwealth, che accolgono i resti dei giovani caduti nello scontro tra Impero britannico e forze-italo tedesche durante la seconda guerra mondiale. Il percorso per giungere a El Alamein dura un paio d’ore e non permette di essere pienamente rilassati: sulla strada ci sono alcuni posti di blocco e sul mio stesso pulmino, accanto all’autista, viaggia un energumeno con delle armi a portata di mano. Non si tratta di un “privilegio” da giornalisti: il traffico privato di stranieri in Egitto è, di questi tempi, spesso accompagnato da scorte di polizia.
All’altezza di El Dabaa compare alla mia sinistra un muraglione di cui non si riesce a vedere la fine. La guida mi spiega che dall’altra parte della barricata si sta lavorando a un progetto mastodontico: la costruzione di una centrale nucleare in collaborazione con i russi, uno dei due partner politici e commerciali che sta pompando miliardi nelle vene dell’economia egiziana per permetterne la ripartenza. L’altro partner è rappresentato dal blocco formato da Emirati Arabi Uniti e Arabia Saudita: a partire dal 2013 entrambi questi Paesi hanno rimpolpato le casse della Banca centrale egiziana e investito sul territorio un paio di miliardi di dollari, usati anche per la cementificazione dei 300 chilometri di costa tra Marsa Matruh e Alessandria.
È però anche merito del turismo nostrano se l'Egitto sta provando a ingranare di nuovo la marcia. I numeri più recenti ci dicono che la presenza italiana è tornata a crescere sia nel 2017 - secondo i dati comunicati dal ministero del Turismo egiziano si è registrato un +94% rispetto all’anno precedente - che nel primo semestre del 2018 in cui, secondo Emad Fathy Abdalla, direttore dell’ente del turismo egiziano in Italia, ci sono stati «oltre 153mila arrivi dall’Italia, il 53% in più rispetto allo scorso anno». Certo, l'Egitto è tra le mete per le quali la Farnesina consiglia di fare attenzione (qui la pagina dedicata sul sito Viaggiare Sicuri) e siamo quindi molto lontani dai risultati del 2010 quando il turismo valeva per l’Egitto 12,5 miliardi di dollari e impiegava il 12% della forza lavoro dell'intero paese. Sotto le piramidi ai tempi d'oro transitavano 14,7 milioni di visitatori, di cui un milione di italiani.
Nonostante i segnali incoraggianti - provenienti anche dalle località sul Sinai e sul mar Rosso - il 2019 sarà insomma un altro anno di transizione per l’Egitto, in attesa dell’inaugurazione nel 2020 del Grand Egyptian Museum, il più grande museo egizio del mondo e nella speranza che il contesto permetta alla terra dei Faraoni di tornare ad essere la meta turistica di una volta.