Bruno Forte e il suo «atto d’amore» a Gerusalemme

Presentato a San Tommaso Moro il libro del teologo, arcivescovo di Chieti-Vasto, su “Gerusalemme. Città della pace, crocevia di conflitti». I tre atteggiamenti per avvicinarsi da pellegrini: umiltà, perdono, senso di responsabilità

È una guida per un «pellegrinaggio spirituale» l’ultimo libro dell’arcivescovo di Chieti-Vasto Bruno Forte, “Gerusalemme. Città della pace, crocevia di conflitti”, presentato ieri sera, 22 maggio, nella parrocchia di San Tommaso Moro, nel quartiere San Lorenzo. «Quest’opera ci fa compiere un viaggio che conduce alle radici della nostra fede e nel mistero di Dio perché ci porta nella città da Lui abitata – ha detto il parroco monsignor Andrea Celli, accogliendo l’autore -, in quel luogo che è lo spazio della sua alleanza con l’uomo e che il teologo Forte considera per questo quello ideale per il dialogo ecumenico e interreligioso». Ancora, il sacerdote ha sinteticamente presentato le tappe in cui il testo è suddiviso e che guardano alla vita di Gesù, «dal silenzio di Nazareth alla fase della predicazione in Galilea e del rifiuto, fino alla passione e risurrezione», per dimostrare come il pellegrinaggio «nei luoghi della sua vita» sia «metafora della nostra vita» e che Gerusalemme è «una città che richiama a un’autentica conversione perché non ti lascerà come ti ha trovato».

Forte ha spiegato che questo suo ultimo lavoro «è un atto d’amore a Gerusalemme», scritto con la speranza «di fare innamorare della Terra Santa soprattutto i giovani» e proprio rivolgendosi ai tanti presenti in sala, che frequentano la parrocchia e studiano alla vicina Sapienza, il teologo ha annunciato l’idea «di organizzare il prossimo anno un pellegrinaggio destinato a voi, realizzando un gemellaggio tra la diocesi di Roma e quella che guido in Abruzzo». Entrando nello specifico del libro poi il presule ha dapprima spiegato come la collocazione geografica di Gerusalemme, a 800 metri d’altitudine, «obbliga a dover salire per raggiungerla» e nella simbologia biblica «il monte è sempre il luogo della teofania e quindi dell’esperienza di Dio da parte dell’uomo». Di seguito ha evidenziato il valore che la Terra Santa ha per l’ebreo che la «riconosce come il luogo della rivelazione di Dio ai padri» e per il cristiano, «a motivo di tutto quello che ha rappresentato per Gesù e che, quindi, rappresenta anche per noi».

Secondo Forte infatti il pellegrinaggio a Gerusalemme e nei luoghi della vita di Gesù è «un’esperienza unica che tutti dovrebbero avere la possibilità e la grazia di fare» perché, sola, «consente di scoprire la presenza del divino e il realismo dell’incarnazione», nell’incontro con un Dio che «si è annientato ed è entrato nella storia dei patriarchi, dei profeti e infine del Figlio». Solo amando «questo Dio che turba e che sconvolge perché da Altissimo si fa piccolo» ma, di più, «amando primariamente la sua Legge e riconoscendolo nella Scrittura, potremo comprenderne il mistero». In conclusione, il teologo ha indicato i «tre necessari atteggiamenti» da fare propri per vivere in modo autentico e profondo il pellegrinaggio a Gerusalemme: l’umiltà «di chi non pretende di avere già capito tutto», la «capacità di perdonare e farsi perdonare», guardando alla propria vita ma anche alle vicende di persecuzione e di odio operate dai cristiani nei confronti degli ebrei; infine, «il senso di responsabilità nella costruzione di un dialogo ebraico-cristiano e con il mondo musulmano».

Ad aprire i lavori, moderati dal giornalista Gian Guido Vecchi, era stato Oren David, ambasciatore israeliano presso la Santa Sede, che attraverso una sintetica ricostruzione della millenaria storia d’Israele aveva sottolineato la «santità di Gerusalemme per tutte e tre le religioni abramitiche»; per questo «la città santa» può essere davvero «elemento di unità e non di divisione, nel rispetto reciproco dei diritti» e con l’impegno «di trasmettere ai giovani un mondo di pace».

23 maggio 2019