Don Giovanni Minozzi, il Vangelo anche agli “indemoniati”

L’impegno nelle periferie del primo ‘900 tra i momenti più intensi per il sacerdote, di cui è in corso la causa di beatificazione. Carità e cultura le parole chiave della sua esperienza

Un giovane prete, ordinato a Roma nel 1908, viene inviato a celebrare la Messa domenicale nell’Agro Pontino. Dopo la celebrazione sente la gente parlare degli “indemoniati” che abitano nella zona, dentro una grotta. Incuriosito e per nulla impaurito, memore dell’indemoniato geraseno incontrato da Gesù, che abitava nei sepolcri (che al tempo erano grotte), il giovane prete non si tira indietro e va a trovarli.

Incontra una famiglia emarginata, inselvatichita, composta da padre, madre, due figlie e un figlio. La storia che quella famiglia ha alle spalle è di grande dolore. Originari dell’Abruzzo, erano emigrati in Argentina, ma anche lì, invece che la serenità, avevano trovato solo sofferenza, ed erano tornati in Italia accampandosi nella campagna romana, dove avevano trovato un riparo di fortuna. I contadini della zona, sospettosi, avevano fatto il meno possibile per intrecciare la propria strada con quella di quei poveretti, che man mano, isolati e disprezzati, erano diventati gli “indemoniati”. Il giovane prete, pieno di tenacia, va a trovarli spesso, conquista la loro fiducia, li riporta in chiesa dopo mesi di amicizia, nel giorno della festa di san Giuseppe. Lo fa tra lo stupore generale di poveri cristiani che scoprivano come i supposti “diversi” erano proprio come loro.

Questa pagina della vita di don Giovanni Minozzi mi è sempre stata cara. La figura di questo prete che va a cercarsi la periferia umana nella periferia estrema, come se si trattasse di un paese di missione lontano, ci rammenta l’eterna potenza di cambiamento del Vangelo vissuto. Nel novembre 2011 il cardinale Vallini ha concluso in Vicariato la fase diocesana della causa di beatificazione di don Minozzi, aperta qualche anno prima dal cardinale Ruini.

Don Giovanni era nato nel 1884 a Preta, una piccola frazione di Amatrice, allora appartenente amministrativamente all’Abruzzo ed ecclesiasticamente alla regione umbro-marchigiana. La sua era una famiglia numerosa. I genitori, pastori, avevano nove figli. Giovanni era il quarto; dalla madre e dallo zio Giuseppe, sacerdote, ricevette una educazione che lo portò alla vocazione sacerdotale. Dopo la morte dello zio, assieme al fratello Serafino, si trasferì a Roma per studiare.

Nella Capitale frequentò dalla quinta elementare, passò per il ginnasio ed entrò nel Seminario Vaticano per il Liceo, continuando gli studi in teologia prima alla Gregoriana, poi al Sant’Apollinare. Gli anni della sua formazione avvengono in una Roma in cui il fermento del rinnovamento degli studi portò poi alla condanna del modernismo. Il giovane Minozzi era attento alle novità culturali e anche dopo l’ordinazione (1908) frequentò il cenacolo religioso-culturale di padre Giovanni Genocchi, dei Missionari del Sacro Cuore, ove si discutevano le istanze della modernità. Nel 1908 Minozzi si iscrisse anche alla facoltà di Lettere della Sapienza.

Cappellano militare nella guerra di Libia (1911), fu anche al fianco dei militari che combatterono la prima guerra mondiale, e nel corso di quel conflitto conobbe un altro grande sacerdote, il barnabita Giovanni Semeria. Con questi diede luogo ad una serie di iniziative per creare piccole oasi di umanità nell’imbarbarimento del conflitto, attraverso piccole biblioteche e “case del soldato” dove i militari potevano ritrovarsi per vivere un clima più umano attraverso la lettura, il dialogo e l’amicizia. Ma in quegli anni i due sacerdoti si trovarono a raccogliere l’ansia dei soldati, spesso padri di famiglia, preoccupati che la morte in combattimento privasse i figli del necessario sostegno. Ne nacque l’impegno di occuparsi alla fine della guerra di quei bambini rimasti senza padri e senza casa, specialmente nel Mezzogiorno d’Italia e nel Centro.

Dopo la guerra Semeria e Minozzi presero a girare l’Italia, raccogliendo gli orfani, i bambini abbandonati, quelli che rischiavano l’emarginazione. Diedero così vita all’Opera Nazionale per il Mezzogiorno d’Italia. Il primo orfanotrofio fu l’Istituto femminile di Amatrice, dove vennero accolte alcune orfane. Seguì l’istituto maschile, dotato di officine e scuole dove i ragazzi potevano prepararsi al futuro. Da lì nacque una rete di case che hanno aiutato e sostenuto migliaia di ragazze e ragazzi.

Minozzi fu anche uomo di studi approfonditi, ha lasciato una vasta raccolta di scritti e riflessioni. Preoccupato poi, per il futuro dell’opera, istituì la Pia Associazione della Famiglia dei Discepoli (1925), ed in seguito, la Pia Associazione femminile delle Ancelle del Signore, figure materne per i ragazzi che venivano accolti. Morì a Roma l’11 novembre 1959 e, dopo i funerali tenuti a Roma, fu sepolto ad Amatrice.

Dalla sua vita emerge l’amore per la cultura, strumento necessario per leggere i segni dei tempi, per comprendere le necessità a cui la Chiesa era chiamata di tempo in tempo a rispondere. Visse sin dall’incontro con gli “indemoniati” una profonda carità, che lo spinse a servire evangelicamente i sofferenti (prima i soldati al fronte, poi i loro figli rimasti orfani) per accompagnarli, amarli e sceglierli come compagni. Infine, nel suo carisma emerge un’idea di fedeltà al Vangelo mai vissuta come semplice ripetizione, ma come declinazione sempre rinnovata della paternità di Dio verso uomini nei mutamenti del mondo.

10 aprile 2019