Francesco al cimitero di Nettuno: Mai più la guerra

Il Papa ha celebrato la Messa del 2 novembre al cimitero di guerra americano: «Gli uomini fanno di tutto per dichiarare una guerra e alla fine distruggono se stessi». Poi la preghiera alle Fosse Ardeatine: «Ecco i frutti della guerra. Dio perdonaci»

Un pellegrinaggio nella memoria, camminando tra le tombe perfettamente allineate di uomini, ragazzi, militari e civili, italiani e stranieri, cattolici ed ebrei, protestanti e atei. Prima sul verde prato del cimitero americano di Nettuno, poi sotto la cappa di cemento armato che copre, opprimente, i loculi delle 335 vittime delle Fosse Ardeatine.

Un passo dopo l’altro, fermandosi per porre una rosa bianca su qualche croce, su una stella di Davide, su una lapide muta, quasi dimenticata dai viventi. Il silenzio e lo sguardo assorto, la preghiera intima e la voce ferma: «Non più la guerra!». Francesco si rivolge al «Dio dei volti e dei nomi», colui che è «con ogni uomo e ogni popolo che soffre l’oppressione». È questa la speranza che con Giobbe ci fa dire «Io so che il mio redentore è vivo e che ultimo sorgerà dalla morte».

Al cimitero di Nettuno, nell’omelia della Messa del 2 novembre dedicata ai defunti, il Papa cita Benedetto XV, strenuo oppositore del primo conflitto mondiale. Francesco prende a prestito le sue parole per definire la guerra una «inutile strage». Una consapevolezza che si fa forte guardando le settemila croci del camposanto. «Sono sicuro che tutti loro sono con te, Signore. Giovani, migliaia, migliaia migliaia… Speranze rotte. Ma per favore fermati! Non più la guerra. E questo dobbiamo dirlo oggi, che preghiamo per tutti i defunti, ma in modo speciale per questi ragazzi. Oggi che il mondo un’altra vota è in guerra e si prepara per andare più fortemente in guerra».

Francesco parla a braccio, l’omelia
non dura più di dieci minuti ma c’è il tempo per dire tutto: «Gli uomini fanno di tutto per dichiarare una guerra e alla fine distruggono se stessi. Questa è la guerra: la distruzione di noi stessi». Sono le parole di un’anziana donna che aveva perso tutto – racconta il Papa -: marito, figli e nipoti. Le pronuncia «con rassegnazione sapienziale – riflette Francesco -, ma con molto dolore» mentre guarda le rovine di Hiroshima, la città distrutta dall’esplosione della bomba atomica americana. Quella donna «con quella rassegnazione lamentosa che sanno vivere le donne, perché è loro carisma, aveva nel cuore solo piaghe e lacrime». Sono lacrime «che oggi l’umanità non deve dimenticare».

Quando tante volte nella storia «gli
uomini pensano di fare una guerra sono convinti di portare un mondo nuovo, sono convinti di fare una primavera: e finisce in inverno, brutto, crudele, il regno del terrore, della morte». Poi l’invito finale: «Preghiamo anche per i morti di oggi, i bambini innocenti. Che il Signore ci dia la grazia di piangere».

Il corteo papale si sposta verso nord. Percorre poco più di sessanta chilometri; gli stessi che le truppe alleate avrebbero affrontato agevolmente e senza grandi resistenze se non avessero deciso di fermarsi ad Anzio a consolidare la testa di ponte dopo lo sbarco. Tempo prezioso per il feldmaresciallo Kesselring che fece affluire uomini e mezzi per la difesa di Roma e per reprimere il movimento di Resistenza; tra loro gli stessi uomini che compirono l’eccidio delle Fosse Ardeatine.

Dopo aver pregato da solo, in silenzio, davanti all’ingresso del Sacrario, Francesco affianca il rabbino capo di Roma davanti alle 335 tombe. Riccardo Di Segni legge, in ebraico, il salmo 130: «Dal profondo a te grido, o Signore; ascolta la mia voce. L’anima mia spera nella sua parola». Anche Francesco si rivolge a Dio: «Tu Signore conosci i loro volti e i loro nomi, anche quelli dei 12 che sono rimasti ignoti. Tu non sei il Dio dei morti ma dei vivi, fa che in questo luogo che conserva la memoria dei caduti per la libertà e la giustizia ci togliamo i calzari dell’egoismo e dell’indifferenza». Prima di lasciare il Sacrario, il Papa affida il suo ultimo pensiero al libro d’onore: «Questi sono i frutti della guerra: odio, morte, vendetta… Perdonaci, Signore».

 

3 novembre 2017