Ouellet: «Il nostro è il tempo dell’ecumenismo del sangue»

A Santa Maria in Trastevere la veglia ecumenica per i martiri del nostro tempo, presieduta dal prefetto della Congregazione per i vescovi. La più piccola: Intan Olivia Marbun, 2 anni, uccisa in una chiesa nell’isola di Borneo

Centinaia i martiri ricordati nella basilica di Santa Maria in Trastevere durante la tradizionale veglia ecumenica promossa come ogni anno il martedì della Settimana Santa dalla Comunità di Sant’Egidio in memoria dei cristiani che sono stati uccisi o subiscono persecuzioni, discriminazioni e privazione della libertà di culto. Numerosi i fedeli che ieri sera, martedì 27 marzo, si sono uniti in preghiera per quanti in questi ultimi anni hanno offerto la loro vita per il Vangelo nelle Americhe, in Africa, in Medio Oriente, in Asia e in Oceania, in Europa. Tra loro anche Andrea Riccardi e Marco Impagliazzo, rispettivamente fondatore e presidente della Comunità trasteverina. Presieduta dal cardinale Marc Ouellet, prefetto della Congregazione per i vescovi, la veglia si è svolta a pochi giorni dalla notizia della canonizzazione di Oscar Arnulfo Romero, arcivescovo di San Salvador, ucciso durante la Messa, il 24 marzo 1980, mentre elevava l’Ostia per la consacrazione. Presenti anche i rappresentanti delle varie confessioni tra i quali il pastore valdese Giuseppe Platone, il pastore Markus Schmidt della Chiesa evangelico-luterana, il pastore anglicano Justin Lewis-Anthony e padre Augustin Gheorghiu della Chiesa ortodossa.

«Il martirio è il vertice del cammino della carità cristiana – ha affermato il vescovo Paolo Lojudice, ausiliare per il settore Sud oltre che incaricato del Centro diocesano per la cooperazione missionaria tra le Chiese -. Sono tanti i cristiani che hanno scelto di seguire il Vangelo fino in fondo anche a prezzo della loro stessa vita». Il parroco di Santa Maria in Trastevere monsignor Marco Gnavi ha letto i nomi dei sacerdoti, suore, missionari, operatori di pace, volontari e fedeli barbaramente uccisi negli ultimi anni. Per ogni nome è stata accesa una candela mentre quattro crocifissi sono stati portati in processione all’altare in rappresentanza dei quattro continenti. Le vittime più recenti sono state cinque donne ortodosse assassinate nel febbraio scorso dall’Isis in un attacco alla chiesa dove stavano celebrando la liturgia domenicale. La più piccola invece è stata Intan Olivia Marbun, di soli due anni, uccisa nel novembre 2016 in una chiesa nella città di Samarinda, nell’isola di Borneo. Ricordati anche i religiosi e le religiose morti dopo aver contratto l’ebola e Monica Sala, l’infermiera 31enne milanese uccisa dalla malaria nel settembre 2017 mentre assisteva i bambini delle baraccopoli in Sierra Leone.

Durante la celebrazione si è pregato per la pace in Siria, sconvolta da una guerra che dura da oltre sette anni, per l’accoglienza dei profughi e la liberazione di tutti i sequestrati. «Il nostro è il tempo dell’ecumenismo del sangue – ha detto il cardinale Ouellet -. Mai nella storia i cristiani sono stati perseguitati, trucidati e accomunati dalla testimonianza del sangue come oggi. In contesti molto diversi e per vari motivi siamo colpiti ed uccisi un po’ dappertutto perché cristiani». Per il porporato fare memoria di chi ha testimoniato il Vangelo pagando con il sacrificio estremo della propria vita è un «dovere che non è contro alcuno, anzi è per tutti e vuole essere portatore di speranza e di pace per ciascuno. La memoria ecumenica dei martiri conosciuti e sconosciuti che celebriamo, è motivo per noi di gratitudine verso Dio per il Suo Sangue versato ed è anche una sfida lanciata a tutti noi ad alzare più in alto la fiaccola dell’amore quotidiano verso tutti e in modo speciale verso i rifugiati, gli abbandonati, i poveri, per dare speranza a chi soffre nel buio e nell’oblio, per far crescere la speranza ecumenica dalla diversità riconciliata, e per irradiare la gioia della testimonianza missionaria di Cristo».

28 marzo 2018