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comunicato stampa

La figura di Pietro Ridolfi, vescovo di Senigallia alla fine del Cinquecento

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da Dario Cingolani


auditorium san rocco

È fresco di stampa un libro su Pietro Ridolfi dal titolo, Storia della città di Senigallia e della sua Diocesi, a cura di Antonio Maddamma, Nino Bucci, Flavio Solazzi, con introduzione di Ettore Baldetti, presentato venerdì 20 ottobre 2017 presso l' Auditorium San Rocco di Senigallia, con l'intervento del vescovo mons. Franco Manenti, del sindaco prof. Maurizio Mangialardi, e la partecipazione di un folto e qualificato pubblico.

La pubblicazione del volume è stata resa possibile grazie alla generosità di mons. Umberto Mattioli, cancelliere emerito della Curia vescovile di Senigallia, sempre attento e sensibile al patrimonio culturale della diocesi.

Si tratta dell'edizione di un noto manoscritto di proprietà della Biblioteca Antonelliana di Senigallia, cartaceo, rilegato in pelle, con frontespizio e bordo dorato, recante lo stemma vescovile, di 135 carte molto ampie, comprensive anche di 11 carte aggiunte in periodo successivo. Il prezioso documento, predisposto da Pietro Ridolfi, vescovo di Senigallia dal 1591 al 1601, presenta la situazione della Chiesa senigalliese negli ultimi anni del Cinquecento. Il manoscritto, sebbene molto curato, contiene pagine non completate o lasciate in bianco, parti depennate, come pure inserzioni di pezzi di carta incollati su parti già scritte, ed anche diverse correzioni e ripensamenti, con aggiunte marginali successive; insomma la redazione di un testo in alcune parti in fieri ed aperta ad integrazioni come poi avvenne. Forse si trattava di una bozza di stampa, ma su questo sembra che al momento non ci siano certezze. Fu compilato in gran parte negli anni 1596-1597, con una scrittura umanistica calligrafica, che in alcune parti diventa più corsiveggiante. L'aggiunta successiva si riferisce all'ampliamento della storia dei vescovi (già avviata nella prima parte), che si sono succeduti a Senigallia dopo lo stesso Ridolfi e fino alla nomina di Ludovico Pico della Mirandola (1717). Questa aggiunta presenta almeno altre due mani, la prima delle quali di Sisto di Pietralata di Visso nell'anno 1652. Il testo è impreziosito da 174 disegni acquerellati che rappresentano le varie chiese di Senigallia e della diocesi, attribuibili a diverse mani, realizzati direttamente sul manoscritto o disegnati separatamente e poi incollati. Alcuni di questi disegni, quelli di migliore fattura, sono sicuramente attribuibili al valente disegnatore Gherardo Cibo (1512-1600).

Il manoscritto, in lingua latina, dal titolo Historiarum libri duo, contiene due parti ben distinte. La prima presenta un excursus sulla storia di Senigallia dall'epoca romana e paleocristiana, all'arrivo dei Goti e dei Longobardi, fino ai Malatesti, ai Montefeltro e ai della Rovere. Seguono poi le vicende della fondazione e consacrazione della Chiesa Cattedrale; quindi l'esposizione degli aspetti principali che devono essere presi in considerazione nella visita pastorale (secondo le disposizioni del Concilio di Trento); poi la descrizione della Cattedrale, con le sue cappelle, i beni immobili del Capitolo, le Compagnie o Confraternite e il monastero benedettino di S. Cristina; infine le chiese della città di Senigallia e quelle del territorio (Montignano, S. Silvestro, S. Angelo, Vallone, Filetto, Brugnetto, Scapezzano, Roncitelli).

La seconda parte inizia con la presentazione della dignità episcopale, delle regole e della condotta, cui si deve attenere un vescovo, per poi procedere alla cronotassi dei vescovi senigalliesi e all'esposizione delle loro opere. Questo avvio della seconda parte può forse sembrare in discontinuità con la prima, ma di tratta solo apparentemente di una digressione, perché essa rientra in una logica ben precisa del Ridolfi, che attribuisce alla figura del vescovo, così come delineato dalle Sacre Scritture, il gravoso compito di essere il primo responsabile di tutte le anime della sua diocesi. A seguire vengono presentate le chiese dei vari centri (Arcevia, Serra de' Conti, Corinaldo, Mondolfo, per nominarne solo alcuni) con lo stesso criterio usato per le chiese senigalliesi, non senza aver premesso una succinta storia delle varie località (circa 25, ognuna con le numerose chiese). In sintesi si tratta di una rappresentazione molto particolareggiata dello stato della diocesi senigalliese e della sua gestione in quel periodo.

Già nella nota iniziale al lettore il Ridolfi, che, per inciso, era francescano, dell'Ordine dei Minori Conventuali (si firmava Frate Pietro), e che in precedenza (dal 1587) era stato vescovo della Chiesa di Venosa, esplicita il suo intento: «Potrà sembrar cosa di scarso impegno e di nessun peso che io, sessantenne, di professione teologo e gravato dalla mole dell'ufficio pastorale, abbia dedicato il mio tempo a un compito frivolo e quasi inutile. Nessuno per carità, mi accusi falsamente di vana ostentazione [...] Per conservare il mio popolo nella fede e nella religione cristiana, ho annotato queste poche cose con mano leggera, ma con il maggiore zelo possibile».

L'opera è strutturata come un esempio di visita pastorale sull'intera diocesi, sul cui Istituto per altro si sofferma ampiamente specificandone le finalità ed elencando nei dettagli gli aspetti che necessariamente sono soggetti ad esame, così come era prescritto dalle Costituzioni tridentine, nelle quali si legge: «Scopo principale delle visite pastorali sia quello di portare la sana e retta dottrina, dopo aver fugato le eresie; di custodire i buoni costumi e correggere quelli corrotti; di entusiasmare il popolo, con esortazioni e ammonizioni, per la religione, la pace, la rettitudine; e di stabilire tutte quelle altre cose che, secondo il luogo, il tempo, l’occasione, e la prudenza dei visitatori, possono portare un frutto ai fedeli» (sess. XXIV, can. 3).

Siamo nella fase post conciliare in cui la Chiesa si sta riorganizzando per far fronte alla riforma luterana, e non sfugge al lettore come il Ridolfi cerchi di mettere in pratica quelle che erano le costituzioni elaborate in quel consesso, soprattutto quelle indicate ad esempio nella XXIII sessione (1563) sulle dignità ecclesiastiche, sulla preparazione e sull'ordinazione dei presbiteri, e in particolar modo sul ruolo del vescovo, per il quale si stabiliva per altro l'obbligo della residenza nella diocesi. Il Ridolfi si sofferma ampiamente sulla dignità episcopale, sull'importanza di visitare le chiese della diocesi, ma anche sui benefici che derivano da queste visite; ricorda ripetutamente la necessità della disciplina ecclesiastica (vedi ad esempio il suo sermone al sinodo diocesano per la riforma del clero). In altre parole si nota subito come l'azione del vescovo Ridolfi tenda a calare nel concreto le prescrizioni tridentine, seguendo l'indirizzo e la linea dei vescovi di allora.

L'azione del vescovo Ridolfi non è tuttavia di routine, ma profondamente culturale, prima ancora che pastorale. I suoi interventi non sono mai meramente esecutivi, bensì inseriti in un discorso di sostanza che fornisce le motivazioni profonde di quelle scelte, che sono culturali, teologiche, storiche, che riprendono e valorizzano l'insegnamento dei padri della chiesa, ripetutamente citati, dei santi, degli antichi vescovi senigalliesi, anche con il recupero del patrimonio di pensiero dell'antichità classica, reso possibile dalla sua ampia cultura umanistica. Il Concilio di Trento viene citato poche volte: ad esempio, all'inizio della seconda parte, nei primi due paragrafi sulla dignità episcopale, si contano circa 30 citazioni, di cui 7 dalla Bibbia, 22 dai Padri della Chiesa, una sola dalle costituzioni tridentine. Il vescovo Ridolfi si attiene cioè a quelle disposizioni e cerca di calarle nella pastorale diocesana, non tanto per se stesse, ma perché esse sono l'esplicitazione di un pensiero della Chiesa ancorato nella più genuina tradizione patristica. La sua profonda preparazione culturale, mai per altro sfoggiata per vanagloria, è tutta incentrata a proporre un modello di comportamento, che lui stesso con coerenza in prima persona cerca di vivere. Se i canoni tridentini imponevano ad esempio al vescovo la predicazione quaresimale nella chiesa cattedrale, lui propone delle prediche ancorate a questo periodo (vedi il sermone ai chierici nella prima domenica di quaresima, o la predica per il venerdì santo).

Risulta in particolar modo interessante perché nuovo in quell'ambiente, ma già chiaramente emerso in epoca umanistica, il riferimento alla nobiltà di cui parla nella prima parte (cap. III), quella del territorio (l'eccellenza e la nobiltà della provincia) e quella dell'uomo. Si pone il problema se la nobiltà derivi dalla natura o dalle opere: la nobiltà deriva dalla natura data da Dio creatore, ma l'uomo non deve allontanarsi dalla virtù (non deve tralignare, traducono i curatori), in cui implicitamente afferma che la vera nobiltà sta nella dignità che ogni uomo deve mantenere nel suo comportamento, sulla scia e anche nel rispetto dei nobili esempi del passato. In altre parole la vera nobiltà per l'uomo consiste nella sua dignità, che può essere raggiunta con lo studio e con l’educazione della mente, come già avevano sostenuto gli umanisti, ma con l'aggiunta, secondo il Ridolfi, di un comportamento improntato alla correttezza e all'onestà secondo i principi evangelici. Sembra di leggere alcuni passi sulla nobiltà che qualche decennio prima aveva scritto Giovanni Guidiccioni (1500-1541) di Lucca, che fu vescovo di Fossombrone, nella nota Orazione ai nobili di Lucca, edita per la prima volta nel 1557, e che probabilmente il Ridolfi conosceva, dove si affermava che non può esistere nobiltà alcuna di uomini o di città che non sia sostenuta da opere virtuose e prudenti.

Mai per altro la sua è un erudizione fine a se stessa, ma sempre finalizzata all'azione riformatrice che il vescovo, unitamente al suo clero, e con il supporto di un'organizzazione diocesana, deve operativamente rendere fattibile. I suoi interventi sono sempre comunque caratterizzati dal desiderio di sanare, di correggere, di migliorare, perché il valore delle opere non è ininfluente come per la dottrina luterana. Ridolfi è un pastore che ama il suo gregge e vuole dare la possibilità di mettere a frutto i doni che Dio ha dato ad ognuno. C'è un passo che colpisce, quando espone i compiti del vescovo nella visita pastorale: «Non si deve, infatti, porre rimedio ai crimini mediante scomuniche o altre pene, ma piuttosto con parole, autorità e carità, implorando e rimproverando, e con i mille altri modi che il vero pastore e sposo delle anime sa escogitare».

A questo ampio aspetto che attiene alla diocesi e alla sua organizzazione, finalizzata ad una incisiva azione pastorale, si aggiunge quello storico, certamente meno importante, ma che non bisogna sottovalutare: nel manoscritto si parla delle origini della Marca anconitana, della città di Senigallia e della sua storia; si propone una cronotassi dei vescovi, e anche il quadro storico dei vari centri urbani, prima di passare alla descrizione delle chiese. Qui il Ridolfi non si allontana dai canoni storiografici dell'epoca: ad esempio, sulla serie dei vescovi, a volte è difettoso nella critica, come già aveva a suo tempo fatto notare lo storico mons. Alberto Polverari, e accetta la tesi della apostolicità: come primo vescovo verrebbe indicato S. Sabiniano, uno dei 72 discepoli mandato a Senigallia da S. Pietro. Va comunque apprezzata la fedeltà e la diligenza nella trascrizione dei vari documenti e delle epigrafi, ma anche la sua attenzione alle testimonianze, dalle più antiche alle recenti, come ad esempio a quelle del Picenum di Francesco Panfilo, edito nel 1575, e citato ripetutamente, o del De cometis di Giovanni Battista Venanzio Baffi, edito nel 1580. La sua cultura storica affonda prevalentemente nel passato, ma la sua erudizione non lo porta tanto ad un mero recupero di una civiltà classica, come spesso avevano fatto gli umanisti del Quattrocento, quanto soprattutto alla valorizzazione dell'antichità in senso ampio e della patristica, perché in esse egli riesce a trovare le radici vitali di un rinnovamento della Chiesa che ritiene necessario e possibile. In sintesi il Ridolfi storico, sempre attento alla documentazione a sua disposizione, risulta prezioso quando cita documenti oggi non più esistenti, ma deve essere ponderato quando attinge dalla tradizione diffusa.

Di fronte ad un'opera così complessa e con le particolarità di un'opera in fieri, cui facevo sopra riferimento, già riusciamo ad intravedere come l'edizione di un tale testo presenti delle difficoltà e dei problemi di non lieve entità, che avrebbero messo in difficoltà anche filologi di consolidata esperienza. I curatori hanno perciò stabilito un modus operandi ben precisato nella parte iniziale, in modo da produrre un'edizione che potesse essere utile e pressoché esauriente per lo specialista, ma che ad un tempo, per il taglio divulgativo al quale essi si richiamano, risultasse fruibile da un pubblico più vasto. Hanno scelto pertanto di privilegiare la ricostruzione e la trascrizione del testo, perché spesso risulta danneggiato o abbreviato, o comunque inaccessibile ai non addetti ai lavori, ma hanno fornito anche la traduzione. L'edizione vuole inoltre riprodurre anche la struttura grafica del codice: a sx. il testo latino con le titolazioni, le illustrazioni e le postille marginali, con corredo di note, sia di natura paleografica, sia di fonti indispensabili all'interpretazione; a dx. la traduzione, la eventuale fotografia dell'edificio attuale, e le note di natura storica o relative a problemi di traduzione. L'apparato iconografico che pone a fronte l'acquerello originale e la fotografia degli odierni edifici ecclesiastici (dove rimasti), rende l'opera, oltre che più completa, anche più attuale, nonostante gli oltre 4 secoli che ci separano da quella composizione.

Il libro si arricchisce con una dotta presentazione di Ettore Baldetti, che egregiamente inquadra l'opera nel periodo culturale post tridentino e ne mette in evidenza soprattutto il valore storico, con riferimento a importanti documenti presenti nel codice di cui non abbiamo più gli originali, ma anche i suoi limiti, simili alla cronachistica coeva, da risultare tanto meno attendibile quanto più si va indietro nel tempo. Baldetti parla anche del suo iniziale scetticismo, quando venne a conoscenza del progetto, del tutto condivisibile, considerata la sua complessità; scetticismo fugato dall'imprevedibile livello di completezza nell'edizione di cui oggi possiamo fruire.

Non può sfuggire l'importanza di una pubblicazione di questo tenore. Anche lo studioso o il filologo non potranno che apprezzare la precisa indicazione delle numerosissime fonti che vanno dai testi sacri ai classici latini. Si tratta di un lavoro colossale, frutto di anni di ricerche e di accurate indagini dei valenti curatori, che soddisfa anche le esigenze degli specialisti. Lavoro non facile, anzi complicatissimo, ma portato a termine in maniera egregia. Il fatto per altro che si citi da sempre il Ridolfi e che nessuno finora si sia assunto l'onere di questa impresa è abbastanza eloquente.

Tra tutti i vantaggi che porta questa pubblicazione uno risulta di non poco conto: essa risparmierà o farà diminuire la richiesta di consultazione del testo originale, che ormai potrà limitarsi a ricerche di alta filologia e consentirà a questo nobile manoscritto di conservarsi indenne nel tempo. Per altro a corredo del testo è stato predisposto un CD, un libro digitale, che contiene la riproduzione fotografica del manoscritto, oltre che la parte introduttiva, i testi e le traduzioni.

Dal lavoro emerge la figura di un ecclesiastico dallo spessore culturale insospettato, un personaggio poliedrico che segnò la storia della diocesi di Senigallia, e che fu anche attore non secondario nelle vicende ecclesiali post-tridentine. Teologo apprezzato e predicatore di fama, richiesto nelle maggiori città d'Italia, diede alle stampe numerose opere che meritano di essere studiate e approfondite. L'edizione del codice senigalliese, che per la prima volta ne mette in rilievo il valore, costituisce certamente una sicura e valida base per ulteriori ricerche.



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Questo è un comunicato stampa pubblicato il 30-10-2017 alle 10:51 sul giornale del 31 ottobre 2017 - 1249 letture